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venerdì 1 maggio 2020

EDITORIALE: arriva la "nuova normalità", il personale next to normal di ognuno di noi

La “nuova normalità”. Così viene definita dal Governo italiano il rientro, parziale e scaglionato, del 5 maggio.

Si parla di “normalità”, con l’accezione di “nuova”.

Più che altro, una “quasi normalità”, un NEXT TO NORMAL, per citare il musical del 2008 con musiche di Tom Kitt e libretto di Brian Yorkey (uno degli otto musical ad aver vinto il Premio Pulitzer per la Drammaturgia, nel 2010), che da noi è arrivato, anni dopo, per la regia di Marco Iacomelli, con artisti del calibro di Francesca Taverni, Antonello Angiolillo, Luca Giacomelli Ferrarini, solo per citarne alcuni.

Come sul palco, anche nella realtà, tutto sembra procedere, anche se...quel microscopico virus non si vede, ma c’è, un po' come Giacomelli nello spettacolo, Gabe Goodman, quel figlio che si vede e non si vede, c’è e non c’è.

Una presenza comunque forte, che limita la vita, che ammanta tutto di un velo di “quasi normalità”, di next to normal.


La parola “normalità” mi incute parecchia paura.

“L'etimologia della parola normale è da ricondursi al latino norma, sostantivo che indica la squadra (detta anche regola), lo strumento utile a misurare gli angoli retti, da cui normalis = perpendicolare, retto”. (https://www.etimoitaliano.it/2014/07/normale.html)

E quindi, cosa è normale? Quello che fa la squadra, la massa?

Non è normale chi si distingue, il diverso? Pensate a quando anni fa, si designava un disabile come sub normale. Pensate l'orrore.

Pensate alle battaglie che sono state fatte per la diversità, da quella di opinione, a quella di culto, di politica o meglio ancora sessuale.

Cosa è “normale” oggi e cosa si avvicina o ci avvicina alla normalità?

Si riapre, parzialmente, per necessità e non per arrivare ad una nuova normalità: si riapre perché l’economia è bloccata, perché Conte solo ieri si è ricordato di citare i lavoratori dello spettacolo e solo qualche giorno fa ha parlato di “scuola”, perché un giornalista gli ha fa posto una domanda sul tema.

Ma sarà davvero normalità?

Sarà normalità non poter assistere ad un concerto, ad uno spettacolo, ad un balletto?

O forse, dobbiamo aspettare quando davvero, come Diana Goodman, potremo davvero abbandonare il nostro lockdown, con la nostra valigia di sogni, lasciandosi definitivamente alle spalle il figlio o, fuor di metafora, la particella invisibile che ci tiene bloccati in casa, nel nostro next to normal personale, fatto di dirette, musica, lettura, film, serie tv, ma anche di “congiunti” domestici, a volta amati, a volte temuti, a volte odiati, a volte non compresi? E fatta anche di ansia, stress, paura e tentativi di affrontare le proprie paure?

Il vero ritorno alla vita sarà quello.

E non ad una nuova “normalità”, ma ad una realtà che spero sia diventata meraviglia, consapevolezza e speranza nell’unione.

Per ora, cerchiamo di restare il più possibile chiusi sul nostro personale palcoscenico domestico, ad interpretare un ruolo che forse ci va stretto, ma che, cadute le maschere con i compagni di commedia/tragedia, è (seppur camuffato da incubo), comunque la nostra attuale realtà.

E BUONA FESTA DEI LAVORATORI (per chi lo volesse festeggiare) a tutti.


2 commenti:

  1. Giustissime e profonde riflessionianche considerando che - normalità - significa

    Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità, interpretata come ‘regolarità’ o anche ‘ordine’.

    Pertanto è la condizione migliore per esprimersi con idee e progetti.
    Viva la normalità, dunque, nella speranza che non vi siano brutte sorprese soprattutto per trasgressioni delle norme di prevenzione e prudenza.

    Buona normalità a tutti

    Marzio

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