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mercoledì 26 ottobre 2022

Teatro Nuovo di Milano chiusura: la cultura che affonda

Quasi un pellegrinaggio.

Trovarsi per altri motivi in centro Milano ed avviarsi verso il Teatro Nuovo, che sarà chiuso per sempre, ha richiesto, per me, delicatezza e reverenza, quasi come quando si entra in un luogo storico come le rovine di Pompei, vestigia di un mondo che sta scomparendo.

Rovine.

Il centro di Milano, città che vuole essere sempre più internazionale, si sta discostando di giorno in giorno dall'esempio di varie città europee e non  - si pensi a Londra che Europa non è più - , che hanno fatto del centro vitale e culturale delle metropoli, il fulcro dell'arte e della cultura, con intere vie dedicate ai teatri.


Al contrario di Milano. Arrivare in piazza San Babila e vedere le inferriate del teatro Nuovo sprangate ed il cartello di “chiusura temporanea”, muove lo stomaco, per chi, come me, ha passato un quel teatro momenti indimenticabili, non solo come giornalista e ufficio stampa di vari spettacoli che lì andarono in scena, ma anche per la vita privata.

L'emozione dell'uscita degli artisti, in via Matteotti, le persone in attesa nella galleria davanti all'ingresso, i venditori di rose che li circuivano, le locandine esposte, le scale che si accendevano, tutto torna alla mente, davanti all'ingresso chiuso. 

I velluti delle poltrone, ora impolverate, i riflettori spenti, l'dore di caffè e popcorn nel foyer, l'enorme albero di Natale all'ingresso, gli specchi dove i milanesi, alle prime, controllavano il look...

I camerini che formavano un dedalo sul retroplaco, quelli per gli attori principali, gli altri per i i coprotagonisti (tutti sono fondamentali in teatro), sono abbandonati.



Con la mente, cerco di entrare nelle profondità della sala e la immagino come in un romanzo di King, buia, silenziosa, vuota di persone, ma ricca di emozioni, energie, vibrazioni che aspetterebbero solo di essere riaccese.

Il cartello di "chiusura temporanea" pare ancora di più una beffa, oggi che è stata annunciata la chiusura definitiva della sala, dove sono passati davvero i più grandi della storia dello spettacolo e non solo italiano, per fare posto, così si legge, ad un ristorante di moda, quello dove si va in primis per farsi selfie e poi, forse, per mangiare. Al costo, magari, di uno spettacolo teatrale.

Quei nuovi locali che sono famosi sui social prima ancora di arrivare, l'emblema del qui ed ora, quello senza impegno e prospettiva, quando, in teatro il qui ed ora si ripresenta ogni sera, in modo sempre diverso da centinaia di anni, quello messo in scena da artisti, che sempre di più vengono soppiantati da una spettacolarizzazione generale da mordi e fuggi ("ma prima, scriviamolo su facebook!").

Una sala, il teatro Nuovo, che nemmeno la campagna dei Luoghi del cuore della FAI è riuscita a salvare e che è così gravemente dimenticata dalle istituzioni, che lanciano il bando per aprire, giustamente, una sala in una periferia disagiata, ma chiudono un occhio su un centro che diventa sempre più "povero".

Certo, ridare vita a questo teatro comporterebbe enormi spese di ammodernamento e messa a norma, e difficilmente un privato potrebbe farlo, senza aiuti esterni.

Ripeto, una sala dove passarono tutti: immaginate un grandi del teatro, uno qualsiasi... beh, quasi sicuramente hanno bazzicato al Teatro Nuovo. Non ne racconto la storia, perchè la potete trovare in ogni altro articolo uscito a riguardo, magari di giornalisti più importanti ed influenti di me, che però non sono bastati per smuovere le acque. 


La mia vuole essere solo una riflessione, amara, sulla gestione delle città del paese più bello del mondo per natura ed arte.

Anni fa, chiesi ad un addetto ai lavori perché non si organizzasse una mostra con le foto e le locandine degli artisti che, negli anni, avevano calcato quel palco. Evidentemente, non c’era interesse, come non c’è oggi per salvarlo: chissà che fine hanno fatto, oggi, quelle foto e locandine.

Basterebbe una petizione? Basterebbe qualche flash mob? Bisognerebbe incatenarsi davanti?

Probabilmente no, ma l'indifferenza nella quale la cultura sta affondando, mi ricorda la scena del Titanic, dove tutti ci siamo chiesti perchè su quella maledetta zattera non ci fosse posto anche per Jack.



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