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sabato 30 gennaio 2016

Un'ora di tranquillità Massimo Ghini: la recensione di Silvia Arosio


Una "corte" moderna, contemporanea.

Un interno borghese 2.0, un po' astronave, un po' luogo fuori dai tempi.

Un uomo borghese, in una Parigi borghese. Una moglie borghese, una classicità amante borghese.

D'altronde l’autore, Florian Zeller, classe 1979, ha vinto il premio Molière qualche anno fa.

Tutto questo é Un'ora di tranquillità, una pièce che non è pochade, non è vaudeville, non è Feydeau o Ray Cooney, ma richiama ognuno di questi generi (foto in pagina di Marco Bignozzi).

Il bourgeois gentilhomme Massimo Ghini é il centro incontrastato di questo pianeta. Anzi no. Forse lo è quel disco trovato sui mercatini, dal titolo emblematico Me, Myself and I, posto al centro della scena su un giradischi 2.0, attorno al quale ruotano tutti i personaggi, quasi fosse un totem.

Ghini dirige bene se stesso e tutta la combriccola perfettamente assortita di attori, di grande livello e di diversa estrazione.

Un vero mattatore, Massimo, alla prima regia dichiarata, che, in scena praticamente sempre, non sbaglia un colpo, con una professionalità che non è mai stucchevole, ma ponderata, simpatica e divertita. Incanta.

Intorno al re sole Ghini, la corte dei pianeti che circuita e lo circuisce.

In primis, Galatea Ranzi, moglie moderna, chic-osamente depressa, in balia di sensi di colpa , inculcatigli dall'analista, con una recitazione volutamente sopra le righe, quasi che volesse giocare il gioco della moglie incompresa.

Il buco nero dei sensi di colpa avvolge inesorabilmente il pianeta "amante", Gea Lionello, più pragmatica e realista, seducente come solo le amanti possono essere.

Ma il sistema solare nell'altronave vede anche un figlio satellite (Alessandro Giuggioli), che cerca di staccarsi dalla famiglia, come una luna con il sole, ma viene inesorabilmente attratto dalla forza centripeta degli altri pianeti, e non basta essere a metà tra emo e metallaro ed estraniarsi sullo smartphone, per tagliare il tubo del l'ossigeno.

Perché poi privarsi dell'ex amante della moglie, tenero cucciolone dai cerulei occhi di Massimo Ciavarro, o della figura classica del vicino di casa ingombrante, polacco e bislacco quanto basta, un grande Claudio Bigagli?


Il tutto mentre nell'interno borghese 2.0, un ultimo incomodo, Deus ex machina della pars destruens, ripara/distrugge la facciata per bene della casa, in un parallelismo tra la disgregazione della famiglia: il polacco/portoghese (o italiano?) Luca Scapparone, altro premio Oscar (con la Ranzi), che dà quel tocco di surreale e che sta a metà tra la corte e l’esterno, sul confine del sistema.

Ma nel desiderio capriccioso di sentire il disco, di avere finalmente quell'ora di tranquillità, nella aristotelica unità di tempo, azione e luogo scenico, l'incomunicabilità tra personaggi che non si capiscono nel fiume di parole, tutto diventa allegro, divertente, ironico e grottesco.
Si ride molto e non solo per qualche parolaccia (d'altronde siamo nell'era 2.0): e se "merde" si diceva anche in tempi non sospetti, passateci qualche fuck qui e là, che non rovinano un testo spassoso e ben tradotto.

Sperando davvero di vedere trasformare questa pièce in pellicola, salite su questa corte/astronave, sicuri di scenderne dopo un'ora di, se non tranquillità, spensieratezza intelligente.

IN SCENA AL Teatro Nuovo di Milano FINO A DOMANI.

SITO UFFICIALE.















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