Nel 2022, vi avevo proposto la mia recensione (potete leggerla qui a pagina 64) della prima
serie di Tutto Chiede Salvezza e l’intervista doppia a Daniele Mencarelli,
autore del romanzo, e Francesco Bruni, regista della serie.
Un’occasione affascinante, per una giornalista, potere
intervistare l’autore del libro e della trasposizione su pellicola ed il
regista della trasposizione cinematografica.
INTERVISTA DEL 2022
Ammetto che, come tutti, ho avuto un brivido di timore, nell’approcciarmi
alla seconda serie, chiaramente non tratta dal romanzo.
Un musical divertente e ben interpretato, che già abbiamo visto di alcune precedenti versioni in Italia (con Gabriele Cirilli e Elio come Gomez), e che non smette mai di stupire.
Questa messa in scena, di stampo classico, con qualche libera interpretazione nel testo, vede ottimi attori e cantanti sul palco, e qualche effetto speciale dato da un morigerato uso delle videoproiezioni, di cui una particolarmente d'impatto e ricca di lirismo, per due ore abbondanti che scorrono senza cali di energia.
Una famiglia che va al di là della normalità e che ci fa chiedere, come è giusto, cosa sia la normalità: forse un next to normal che ha tante sfaccettature e declinazioni?
E se l'amore salvifico alla Romeo e Giulietta mette a nudo, non solo le "diversità", ma anche le sopite affinità - e no, non solo per l'agrimomium - i brani, davvero orecchiabili e ben tradotti, rendono assolutamente godibile uno spettacolo dark e gotico- Mercoledì funziona non solo su Netflix -, con pennellate di colore (giallo) anni '50 e qualche citazione: come non riconoscere la famiglia sotto la pioggia, in questo caso proiettata in alto a destra, che ricorda così tanto l'arrivo al lugubre maniero del Rocky Horror?
Qui il video degli applausi finali, che vi consiglio di non perdere.
Guardatelo pure con i vostri figli piccoli che non conoscono gli Addams... “Perché viva o morta una famiglia… è sempre una famiglia.”
Strippete! La commedia musicale c'è. Più forte che mai. E così sia!
Quando si scrive di spettacoli come Aggiungi un posto a tavola, si può soffrire di un pochino della sindrome del foglio bianco.
O meglio, tanto è già stato scritto su questo spettacolo, la cui Arca ha veleggiato in Italia (e non solo) per 50 anni e che è stato oggetto di differenti messe in scene, anche non professionali, è stato argomento di libri ed è persino entrato in tesi di laurea.
Si rischia di essere ripetitivi e ridondanti, di non aggiungere nulla a quello che già sappiamo e che altri hanno detto prima di noi.
“E la Terra sentii nell'Universo. Sentii fremendo ch'è del cielo anch'ella, e mi vidi quaggiù piccolo e sperso, errare, tra le stelle, in una stella.”
versi tratti dalla poesia "Il bolide" di Giovanni Pascol
In uno di "quei casi" della vita, mi sono trovata a passare davanti alla mostra immersiva Space Dreamers, a Milano, e la mia curiosità giornalistica mi ha spinto a fare un sopralluogo.
Un progetto nato dall’idea delle designer Elena e Giulia Sella,
co-fondatrici di Postology, con l’obiettivo di offrire un’esperienza
immersiva combinando creatività, design, comunicazione e tecnologia,
ponendo al centro dell’attenzione l’universo.
Un trionfo. Per una persona come me che ama giocare con le parole, è raro non
trovarne, ma in questo caso l'unico termine che mi si accende nella mente, a
caratteri cubitali, è questo. Potremo anche dire ovazione
e tripudio, e ci starebbe tutto.
Da ieri sera, fino al 17 marzo, JSC è a Milano, al Sistina Chapiteau.
Fare una recensione di uno spettacolo come Jesus Christ Superstar mi pare davvero
ridondante, visto che anche l'edizione messa in scena quest’anno da Massimo
Romeo Piparo non solo risponde ai canoni a cui ci ha abituato negli ultimi 30
anni – ed ancora di più degli ultimi 10 - , ma riunisce il meglio del cast già
noto ed alcune new entry.
Roma è arrivata a Milano. E lo fa riportando in vita una delle maschere più classiche della Roma papalina, quella maschera che può essere considerata come il cugino di Rugantino, con la differenza di appartenere alla nobiltà, che sta in piedi come alcuni palazzi nobiliari, solo per la facciata che per la struttura..
In scena, finalmente, nel teatro costruito ad hoc per ospitare gli spettacoli di Massimo Romeo Piparo, il Sistina Chapiteau, Max Giusti, solo per tre giorni, che vanno sfruttati appieno dal pubblico meneghino.
Una nuova luce in città, una nuova location dedicata alla cultura e alla bellezza, in un’area recuperata come lo Scalo Farini. E lì, tra le vecchie rotaie in disuso, così affascinanti e suggestive, è sorto Il Sistina Chapiteau, il primo Teatro itinerante d’Italia dedicato alla commedia musicale, progettato e realizzato da Massimo Romeo Piparo.
Nell’epoca della chiusura dei teatri in ogni parte d'Italia – ancora viva la ferita del Nuovo di Milano, ma non solo – accogliere ed ospitare nuove realtà è sicuramente una vittoria e per questo va ringraziata l’ampia visione imprenditoriale dell’ideatore, che ha voluto creare una struttura che si sposterà in tutta la penisola.
Una tensostruttura rossa, con platea ad anfiteatro (peccato poco rialzata nelle ultime file), che, tra l’altro è ottimamente riscaldata: da sistemare ancora la parte posteriore del parcheggio, purtroppo con fango e pozzanghere, ma la frenesia del debutto non ha evidentemente permesso di lavorare su tutti gli aspetti.
Era il 2011, quando al Manzoni di Milano, Gianluca Guidi dirigeva Gianluca Ingrassia (con Simona Samarellii), nella commedia di Neil Simon, "Stanno suonando la nostra canzone".
Ora, i due mattatori, amici da ben 35 anni, tornano in scena nello stesso teatro con La Strana Coppia… revival.
Sì, perché dire che Neil Simon sia datato è una affermazione non solo antipatica, ma anche profondamente ingiusta: perché i classici, in quanto tale, non lo sono mai.
Chiaramente, Guidi, nella sua direzione della pièce, ha tradotto e limato alcune parti, per rendere il testo più appetibile a noi italiani, ma niente di più.
Il gusto e la sottile atmosfera fumosa del testo è rimasto tale e quale: ma all’apertura del sipario nemmeno ci accorgiamo che siamo negli anni ’60, se non fosse per gli oggetti di scena.
E così se il fax resta fax e non diventa cellulare, le “paturnie” di Felix e l’apparente noncuranza di Oscar, sono moderne oggi, quanto lo erano allora.
Due amici separati reagiscono diversamente al dolore della separazione e il disordine contrapposto all’ordine maniacale, ne sono solo l’aspetto esteriore: anche perché Felix ipocondriaco e perfettino lo è sempre stato.
Si dice che l’uomo non può vivere da solo, perché solo la donna riesce a gestire una casa in autonomia. Cosa c’è più sessista di tale affermazione? Neil Simon la ribalta e mette in bocca a Felix il concetto esattamente opposto.
Perché questo è il bello dei classici: ci ritroviamo, ma ci ritroviamo anche ribaltati e a volte spiazzati.
Ed anche in questa commedia si ride molto, per questo, e si ride con noi e di noi, con gli attori, il regista e con chi, “anta” anni fa, ha pensato questo testo.
Così come si diverte in scena il cast, i due protagonisti, affiancati da tanti caratteristi affiatati, tanto, qualche volta, da non trattenere la risata.
Se la regia di Guidi è fluida, scattante, leggera, i due in scena sono una delizia, ognuno nel suo ruolo, anche se mi piacerebbe vederli scambiati, per una volta.
La leggerezza di cui, a volte, abbiamo bisogno, senza dimenticare quella vena di malinconia, che fa parte della vita, come i tasti bianchi e neri del pianoforte.
Così è la vita, lo era allora e lo è adesso.
Non perdete, se potete, questa commedia, per vedere un’amicizia che resiste al tempo ed alle intemperie, sul palco, come nella vita reale. Fa sperare.
Trama
Nota a molti. Ma vale la pena rinfrescarne almeno il ricordo. Si alza il sipario su un appartamento intriso di fumo, a Manhattan negli anni ’60. L'appartamento (sporco e disordinato) appartiene a Oscar Madison, che l'ha lasciato andare in rovina dopo il suo divorzio. Quando invita il maniacale, “sterilizzato” e ferito Felix Unger - la cui moglie lo ha appena buttato fuori di casa - a condividere per qualche tempo la casa con lui, questo, diventa un campo di battaglia su quale stile di vita alla fine prevarrà, così come quanto stretto contatto personale possa sopportare un'amicizia. Sunto che, ovviamente, tralascia molti particolari; ma la sostanza è questa.
Una piccola curiosità - Le sorelle Pigeon
Cecily e Gwendolyn Pigeon sono le due inquiline del piano di sopra di Oscar e Felix. La loro “entrata in scena” nel terzo atto ha una storia tutta propria: Simon ha attribuito al critico di Boston Elliot Norton il merito di averlo aiutato a sviluppare l'atto finale della commedia. Norton era critico teatrale a Boston quando i rapporti tra i critici e i drammaturghi non erano così conflittuali come sarebbero poi diventati. Durante la conversazione di Simon con Norton, durante il programma televisivo “Elliot Norton Reviews”, il critico disse che la pièce mancava di adrenalina nell’atto finale. Quando “La Strana Coppia” andò originariamente in scena al Colonial Theatre di Boston, i personaggi delle Pigeon Sisters non appaiono nell'atto finale. Simon dichiarò al quotidiano “The Boston Globe”: “Durante la trasmissione Norton ha detto: "Sapete chi mi mancava nel terzo atto, le “Sorelle Pigeon", ed è stato come se mi si fosse accesa una lampadina in testa. Ha fatto un'enorme differenza nello spettacolo. L'ho riscritta e ha funzionato molto bene. Ero così grato a Elliot... Elliot aveva un occhio così acuto. Non so se abbia salvato la commedia o meno, ma l'ha resa un successo
maggiore”. Monica Evans e Carole Shelley furono le due attrici scelte per interpretare le vicine di casa di Oscar e Felix, Cecily e Gwendolyn Pigeon. Recensendo, a suo tempo, il film, Archer Winsten ha definito la loro entrata in scena un "trionfo". Certo, erano perfette nei loro ruoli - dopo tutto, avevano recitato le stesse parti a Broadway. Ma va detto che la Paramount aveva altre idee. "Volevano assumere due attrici già sotto contratto “a cottimo”", ricorda Shelley, 78 anni, in un’intervista. Aggiunge Evans, 77 anni, al telefono dalla sua casa in Inghilterra, “Walter [Matthau] era molto turbato. È letteralmente andato a battersi per noi e ha detto: "Dovete assumere le due ragazze!" Non è lo stesso con nessun altro!’ Così Carole e io abbiamo fatto un provino a New York, leggendo le nostre parti della commedia… e il resto è storia!” Tempi in cui era bello e giusto fare i provini. Quando “contratti a cottimo” non ne esistevano. Una mia piccola, ultima, annotazione: Chissà se Sua Maestà Simon (dando alle due sorelle - che nella vita reale sorelle non erano - una provenienza britannica anziché americana) ha scelto i loro nomi - Cecily e Gwendolyn – facendo omaggio al meraviglioso Oscar Wilde che ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, settanta anni prima, dona i medesimi nomi alle due protagoniste femminili della commedia? Non si sa! Ma è bello pensare che possa essere accaduto!
RASSEGNA PROSA
Francesco e Virginia Bellomo e Virginy L’Isola Trovata
presentano
Dal 21 novembre al 3 dicembre 2023
feriali ore 20,45 - domenica ore 15,30
sabato 2 dicembre ore 15,30 e 20,45
GIANLUCA GUIDI GIAMPIERO INGRASSIA
LA STRANA COPPIA
Revival
di
Neil Simon
traduzione, adattamento e regia
Gianluca Guidi
e con
GIUSEPPE CANTORE, RICCARDO GRAZIOSI
ROSARIO PETIX, SIMONE REPETTO
e con CLAUDIA TOSONI
e FEDERICA DE BENEDDITIS
scene e costumi
Carlo De Marino
musiche Maurizio Abeni
luci Umile Vainieri
progetto audio Franco Patimo
assistente alla regia Francesca Somma BIGLIETTI Prestige € 36,50 - Poltronissima € 33,00 - Poltrona € 25,00 - Poltronissima under 26 anni € 16,00
Spesso, quando il pubblico assiste ad uno spettacolo teatrale, magari un musical e non un classico di prosa, non sempre è a conoscenza della trama o del periodo storico in cui lo spettacolo si colloca. Tutto questo è lecito e legittimo, ma quando si assiste a uno spettacolo come Cabaret, il pubblico diventa un elemento cosciente ed onnisciente: come quando una persona su una riva o su una montagna vede una nave andare a schiantarsi contro gli scogli e sa già come andrà a finire, ma non può fare niente per evitare il disastro.
Allo stesso modo assistendo a un musical come Cabaret, il pubblico sa benissimo che, trattandosi di nazismo nel 1930, il finale non potrà che essere tragico.
Dite la verità, quanti tra voi (o tra noi) si sarebbero aspettati di vedere in Italia un musical come The Phantom of the Opera?
E per di più, in inglese, in una versione internazionale, la nuova versione ufficiale, ma con un regista italiano (d’accordo, Federico Bellone lavora spesso all’estero – ora è anche in Spagna – ma è italiano a tutti gli effetti)?
Eppure, è successo e, forse, oltre allo spettacolo che non ci aspettavamo, The Phantom è lo spettacolo che ci voleva: ci voleva, perché dopo la crisi della pandemia, avevamo tutti bisogno di una scossa forte per riportare il pubblico a teatro e ci voleva affinché molti detrattori del genere musical, riflettessero su frasi come “Sempre gli stessi titoli" e “Tanto faremo una brutta copia”.
Spoiler: questo spettacolo è una copia in bella, una copia ripulita e svecchiata, con qualche interpretazione registica nuova pur su un plot narrativo e musicale che tale è e non va cambiato. E ci mancherebbe. Webber non si tocca.
10 anni di Priscilla. Già 10 anni. O solo 10 anni.
In un periodo in cui molte produzioni o teatri festeggiano
gli anniversari, da Notre Dame de Paris, al Teatro Repower di Assago – ex Teatro
della Luna - , il ritorno in pista del bus rosa è stato particolarmente atteso.
E, prevedibilmente, gradito dal pubblico, che sta tornando
ad affollare le sale in cui “fa fermata”, nel suo viaggio on the road.
Vedere in scena il trio originale, Simone Leonardi, Antonello
Angiolillo e Mirko Ranù, è molto di più di un’operazione nostalgia: è quello
che ci voleva oggi, dopo due anni di chiusura e una maggiore diffusione dei
temi trattati, portati come bagaglio sul pullman, e serviti in maniera leggera
e frizzante, tra scarpe con il tacco (una volta li chiamavamo “zatteroni”) e
glitter a profusione.
E per chi sta pensando che sarebbe cosa buona e giusta
puntare su titoli nuovi, ricordo che Priscilla è messo in scena dalla stessa Produzione
di Legally Blonde, All Entertainmet. E ho detto tutto.
Uno
spettacolo che a Broadway si sarebbe definito “Off”, una deliziosa piccola
commedia musicale, il classico Jukebox musical, che comprende le migliori e più
famose hit dei meravigliosi anni ’60 italiani.
E forse, a
giudicare dalla risposta del pubblico, anche – dico anche – di questo abbiamo
bisogno: del sogno, della nostalgia e di passare due ore di leggerezza pura,
riascoltando canzoni che hanno fatto la storia italiana.
Perché,
diciamocelo, chi quest’anno, la mattina dopo Sanremo, ha fischiettato o cantato
i brani in gara? Avete sentito il macellaio sottocasa fischiettare qualcosa
delle canzoni di quest’anno, ma anche quelle degli anni scorsi?
La Compagnia dell’Alba di Ortona, diretta da Fabrizio Angelini e Gabriele de Guglielmo, dopo i successi ottenuti con “Nunsense: Il musical delle suore”, “Aggiungi un posto a tavola”, “Tutti insieme appassionatamente” e “A Christmas Carol”, è arrivata a Milano con il Family Entertainment: “Piccole donne” - il Musical di Broadway, avvalendosi della co-produzione del TSA - Teatro Stabile d’Abruzzo. Lo spettacolo è andato in scena al teatro Repower.
Un gioiellino, questo spettacolo, che, pur non presentando nomi altisonanti ed un titolo da “cassetta” (ma si può ancora dire così?) porta in scena un Musical di Broadway, nuovo per l’Italia, adattamento del celebre romanzo di Luisa May Alcott che più o meno tutti conosciamo.
La messa in scena è molto simile all’originale, con una scenografia materica, vintage, palpabile, dalla soffitta polverosa, al pianoforte, passando dal camino: la mano di Gabriele Moreschi fa quasi percepire l’odore del legno, della naftalina e del taffetà, il tutto illuminato da Valerio Tiberi, una scena su più piani, in cui si muovono i protagonisti, nei costumi in stile di Alessia De Guglielmo.
Operazione davvero interessante, quella di Taxi a Due Piazze, con Barbara d’Urso che torna a teatro dopo 15 anni.
Interessante, ma anche ben riuscita, perché la trasposizione di un classico, che viene declinato al femminile dallo stesso autore della pièce originale e vede una donna alla regia, ha tutte le carte in regola per essere, non solo politicamente corretto, ma anche godibilissimo.
Il teatro Manzoni è diventato un unico organismo pulsante come un cuore solo, il 6 ottobre, per la serata esperienziale con Emiliano Toso, dal titolo L’ALBERO DELLA MUSICA (Esperienza a 432Hz - Piano Solo -).
Il Direttore Alessandro Arnone, per il secondo anno consecutivo, ha avuto il coraggio di aprire le porte del teatro storico del cuore di Milano, salotto del divertimento “pensante” – che quest’anno festeggia il 150° anniversario – per scommettere su un evento che ha unito arte e benessere, in una concezione pionieristica della “cura olistica” dell’uomo, che da sempre le generazioni precedenti a noi hanno percepito come reale ed autentica, a livello empirico, ma che ora sta avendo l’avvallo di ricerche mediche e scientifiche.
Diverso e accattivante. Nessuna altra definizione per descrivere La Piccola Bottega degli Orrori, portata in scena oggi (la prima volta fu nel 1982), con la Regia di Piero Di Blasio.
Glamour, colorata, “priscillosa” e con quel pizzico di inquietudine, che l’ha resa popolare dagli anni degli horror movie di serie b ad oggi, sulla scia del Rocky Horror Show.
Forse storcerebbe il naso Greta Thunberg, vista la “ghettizzazione” delle piante a cui non dovremmo dare da mangiare (si celia!), ma questa versione 2.0, è davvero godibilissima.
Un mese di soldout per Notre Dame de Paris al Teatro degli Arcimboldi di Milano, l’opera popolare primigenia, per l’Italia, la capostipite di un genere che ha dato il là ad altri spettacoli, più o meno riusciti, ma che hanno cambiato il modo di intendere il musical e la commedia popolare nella nostra nazione: e non dite mai che NDP è un musical. Mai. E’ un’altra cosa, può piacere o no, ma non è paragonabile.
20 anni di successi, che ho tentato di sviscerare nel mio articolo dedicato all’evento, sul magazine che dirigo, Riflettori su Magazine, numero di aprile.
In un momento di grande crisi mondiale, ieri sera il cuore di
Milano ha vibrato.
In un periodo dove un microscopico essere, un virus ha
creato divisione, timore e discordia, la ”fredda” e piovosa Milano si è “accesa”,
di luce e calore.
Il tempio della prosa, il Teatro Manzoni, nella Rassegna
Extra, ha ospitato una serata che definire concerto è certamente riduttivo.
Grazie all’intuizione ispirata del Direttore Alessandro Arnone,
si è tenuta una serata esperienziale con la musica dal vivo del biologo e
compositore Emiliano Toso, che abbiamo imparato a conoscere su queste pagine e
sul mio mensile cartaceo, Riflettori su Magazine.
“Io non voglio crescere, non voglio diventare grande, non voglio studiare, andare a scuola, nessuno mi catturerà e farà di me un uomo. Ora addio, niente lacrime né rimpianti”.
Uno spettacolo online molto particolare, quello che è stato trasmesso ieri sera su Mymovies.it, in occasione del compleanno di Manuel Frattini, Sindrome da Musical, proposto dall’Associazione Culturale che porta il suo nome.